Project Description

Sentiero n. 157 - Sentiero del Boale dei Fondi

località quota lunghezza ore↓ ore↑
Passo di Campogrosso (bivio sent. 151) 1464 0 0.00 0.10
Passo delle Buse Scure (bivio sent. 143) 1475 770 0.10 0.20
pressi di Sella del Rotolòn (bivio sent. 195) 1540 790 0.20 0.05
bivio sent. 157A 1602 350 0.10 0.05
Boale dei Fondi (bivio sent. 108) 1602 420 0.10 0.55
Bocchetta dei Fondi (bivio sent. 196) 2015 1140 1.10 0.10
versante sud di Bocchetta dei Fondi (bivio sent. 109) 1985 260 0.05 0.15
Bocchetta Mosca (bivio sent. 192) 2029 800 0.15 0.30
Rif. Mario Fraccaroli (bivio sent. 108, 108B) 2230 1660 0.40 0.00
totale   6190 3.00 2.30

Questo itinerario rappresenta il più diretto, agevole e frequentato collegamento tra l’Alpe di Campogrosso e l’area sommitale del Carega, ma è anche uno dei più vari e panoramici, abitualmente percorso da quanti salgono a Cima Carega e al Rifugio Fraccaroli dai versanti trentino e vicentino. Per caratteristiche lo si può dividere in due parti ben distinte: quella inferiore lungo il grandioso anfiteatro roccioso del versante nord del Carega, e quella superiore che s’affaccia sulla riposante conca del vallone di Campobrun, aperta ai vasti panorami dell’area sommitale del Carega. Nella prima metà, fino all’innesto sulla mulattiera militare d’arroccamento, l’itinerario è percorso anche dal Sentiero Europeo E5.  

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Dal Passo di Campogrosso si segue il sentiero che attraverso i pascoli del versante occidentale di Cima Postal raggiunge il vicino Passo delle Buse Scure. Lasciato a sinistra il Sentiero delle Mole che scende nella Valle dell’Agno (segnavia 143A), si sale dolcemente tra i faggi, mantenendosi a ridosso del crinale, fino alla successiva Sella del Rotolon. Poco oltre la sella si lascia a sinistra il Sentiero alto del Fumante (segnavia 195) e si piega a destra per attraversare quasi in piano l’ampio ghiaione del Prà dei Angeli, alla base delle eleganti guglie rocciose dell’anfiteatro nord del Carega. A quota 1602, a quasi metà del traverso, si innesta da destra il sentiero proveniente dalla sottostante Malga Storta e dalla rotabile Obra-Campogrosso (segnavia 157A). Più avanti, al termine del lungo traverso, si lascia a destra il sentiero per il Vaio Colori (segnavia 158, ora dismesso per il pericolo rappresentato dalla risalita del Vaio) e si rimonta il ghiaioso Boale dei Fondi. Il sentiero supera alcune roccette e risale a destra l’ampio anfiteatro roccioso, con ripidi tornati tra ghiaie e mughi. Nella parte superiore piega decisamente a sinistra, attraversa il Boale e si porta sul lato sinistro del solco per affrontare nel finale i canalini e le roccette che precedono l’uscita alla Bocchetta dei Fondi, dove la vista si apre sull’aperta Alpe di Campobrun. Alla Bocchetta, lasciato a sinistra il sentiero per il Passo dell’Obante (segnavia 196), si cala per sentiero sul versante di Campobrun e si è in breve sulla mulattiera militare d’arroccamento. Lasciato a sinistra il ramo della mulattiera che scende verso il Rifugio Scalorbi, si segue il ramo di destra e si raggiunge quasi in piano l’intaglio di Bocchetta Mosca. Qui converge da sinistra il più diretto sentiero del Valon di Campobrun (segnavia 192) proveniente dal Rifugio Scalorbi, mentre dal precipite imbuto del versante nord, vi sale il sentiero alpinistico del Vaio Colori. Si prosegue lungo la mulattiera che sale con numerosi tornanti la conca superiore del vallone. In questo tratto vanno assolutamente evitate le faticose e rovinose scorciatoie della mulattiera, (purtroppo seguite da tanti pigri e frettolosi escursionisti), responsabili del grave degrado di questo storico e prezioso manufatto della Grande guerra. Con un ultimo traverso sotto le rocce meridionali di Cima Carega, massima elevazione delle intere Piccole Dolomiti, la mulattiera raggiunge la selletta sul crinale sudest di Cima Carega, dalla quale appare finalmente il vicino Rifugio Mario Fraccaroli, che si raggiunge, appena sotto Cima Carega, con un ultimo e breve tratto di mulattiera.

Cima Carega, che sovrasta di una trentina di metri il Rifugio Mario Fraccaroli, è la massima elevazione delle Piccole Dolomiti e merita di essere salita non solo per il grandioso panorama che vi si gode, ma anche per scoprire da lassù l’origine del curioso toponimo della montagna che, alla fine, ha finito per dare il nome all’intero massiccio. Niente a che vedere con la sagoma di una sedia, cioè con la carega dei dialetti veneto-trentini. Il toponimo deriva invece dalla lingua Cimbra, esattamente dal termine Kareige (pr. Careighe) che significa “cima dei cadini rocciosi” (Kar – egge). E infatti, proprio dalla sua sommità si può scoprire come essa si erga al centro di quattro importanti conche rocciose che le fanno da corona: a sud il circo roccioso del Valon della Teleferica e il più ampio vallone di Campobrun, ad ovest la vasta conca di Malga Posta e a nord l’ampio vallone di Pissavacca.

 

Cima Carega o Cima Posta?

Oggi è pacificamente accettato che il nome della vetta più alta delle Piccole Dolomiti è Cima Carega, ma non è sempre stato così. Per lunghissimo tempo, il nome del monte più elevato di quello che nelle vecchie guide si indicava come Massiccio Campobrun-Posta per distinguerlo dal Massiccio Baffelàn-Cornetto era spesso indicato col nome di Cima Posta. La controversia, tutta interna al ristretto mondo degli alpinisti e topografi, ha origini lontane, nasce con la nascita dell’alpinismo e ha continuato per lunghissimo tempo a riproporsi.

L’alpinista e studioso vicentino Gianni Pieropan, in un articolo apparso nel 1958 sulla rivista Le Alpi Venete, ha ripercorso le tappe salienti della piccola ma interessante controversia. Egli afferma infatti che “il nocciolo della questione ha origine nella inversione occorsa nella collocazione dei toponimi, per cui Cima Carega è diventata Cima Posta e viceversa”. Vediamo come è successo.

Dobbiamo riandare – scrive Pieropan – ai tempi in cui alpinismo è una parola ed attività ignota. L’alpigiano, per quel che può trarne in ragione di quanto la medesima avaramente gli concede, guarda alla montagna con intenzioni puramente utilitarie. Gli servono soltanto i pascoli, anche i più magri, fin dove le sue greggi possono arrivare a brucare gli ultimi rinsecchiti ciuffi. Più oltre è la roccia, pelata e per nulla redditizia: non gli interessa. E si fissano confini, si legalizzano con nitide mappe: queste abbiamo esaminato, risalenti ai primi del 1800. Ecco la gran conca che prendendo avvio dalla cresta displuviale del Gruppo tra Cima Carega e Cima Posta, cala morbidamente in direzione dell’alta Val di Ronchi, protetta dai dossi della Costa Media, fino ad interrompersi sull’orlo dei precipizi che oggi si risalgono pel Vaio del Camin (vaio attrezzato e percorribile all’epoca in cui Pieropan scriveva queste note, ma ora abbandonato e non più praticabile). Ed ecco la rustica malga, il luogo di radunata degli armenti, la “posta”. Di qui le greggi possono pascolare fino a quella sommità verdeggiante che, dalla “posta” appare la più alta per essere la sola visibile: la cima della posta. I limiti di pascolo si attestano su quest’ultima, esattamente come adesso, e come adesso viene chiamata Cima di Posta; a meridione è il sasso nudo e crudo, ma vi sorge un’altra cresta, di ogni altra più alta: vi si pone un segno, null’altro. Di là, dal Campobrun, dalle valli del Leno, del Léogra, dell’Agno, di Revolto, la chiamano Carega.

Le prime rudimentali carte vengono tratte dalla mappa e ad essa si rifanno anche gli operatori della prima magnifica carta degna di tale nome: quella del Regno Lombardo-Veneto pubblicata nel 1838 dall’I.R. Stato Maggiore. Cima di Posta rimane al suo posto, sola ad essere menzionata, ma il disegno ed il colore rivelano con ammirevole perfezione, la presenza a sud-est di una vetta più cospicua, inconfondibile nei tratti del disegno: la Carega”.

Il medesimo schema, Cima Posta a nord-ovest, con tanto di nome e quota, e dall’altra parte della conca, nitidamente disegnata, ma senza nome, Cima Carega, si ripropone nelle due carte della provincia di Vicenza, edite rispettivamente nel 1873 e nel 1888.

A questo punto i tipografi austriaci, consapevolmente come sosterrà Meneghello, involontariamente come sembra credere Pieropan, commettono l’errore.

Nel frattempo – continua Pieropan – i mappatori austriaci, nel rifacimento delle carte conseguenti ai nuovi confini di Stato stabilitisi nel 1866, (il Veneto era passato al Regno d’Italia con la pace di Vienna) si sono imbattuti nella cima più alta della Posta e, equivocando sulle notizie che loro possono essere fornite ora dal versante trentino soltanto e da quello più comodo della Val dei Ronchi in particolare che scorge unicamente la Posta, regalano quest’ultimo toponimo alla Carega e così il primo guaio è combinato. Ma ecco necessariamente saltar fuori l’altro toponimo fin’allora mai apparso ma che, dal Campobrun rimasto ugualmente territorio austriaco, s’impone imperiosamente. Ed allora si pone riparo al guaio già fatto combinando il secondo e cioè ponendo quel Cima Carega accanto alla sommità della Posta rimasta desolatamente vuota dopo il precedente ed inopinato trasferimento”.

 

 Nel 1924 Francesco Meneghello, anima dell’alpinismo vicentino tra le due guerre, compie un’accurata indagine circa la causa d’inversione dei due toponimi e conclude alla fine che:“l’origine degli errori deve ricercarsi nei mappatori austriaci che confusero volutamente l’una coma con l’altra poiché alla Carega, che era un osservatorio magnifico e la cui vetta poteva facilmente essere rivendicata appartenendo alle acque del Veronese, si fingeva di non attribuire alcuna importanza militare, facendola apparire sovrastata dalla Posta. Detti rilievi furono nelle nostre tavole pecorilmente riportati, non per ignoranza dei topografi militari, ma per le direttive d’una superiore dabbenaggine”.

Pur preferendo la propria interpretazione, Pieropan definisce questa ipotesi “suggestiva e, dal punto di vista strategico -militare, avente buon fondamento”, soprattutto se si considera la necessità per gli austriaci di “premunirsi da un’eventuale rivendicazione di confini da parte italiana, giacché Cima Carega si eleva esattamente sullo spartiacque veneto-trentino e così, spostandola a Cima Posta, le si toglieva ogni importanza strategica, svuotando a priori ogni possibile contestazione”.

La ripetizione dell’errore d’inversione dei toponimi, pedissequamente riportata sulle tavolette IGM di quel tempo, è quindi per Pieropan ”… ipotesi abbastanza accettabile qualora si tenga presente la condizione dell’Italia in seno alla Triplice Alleanza”. Egli fa infatti notare come la successiva “… cartografia IGM in uso durante la Grande Guerra e negli anni tra le due guerre ponga i toponimi al posto che realmente loro spetta, evidentemente perché talune remore più non sussistevano”.

Il resto è storia recente. Sulla base delle considerazioni precedenti si poteva “… presumere o quanto meno sperare – concludeva Pieropan – che con la pubblicazione delle nuove tavolette avvenuta nel 1959, con successivo aggiornamento al1969, l’IGM avrebbe finalmente chiusa la secolare controversia. Purtroppo ne è invece sortito un compromesso la cui incongruenza ha semmai complicato ulteriormente le cose. Infatti, la vecchia tavoletta Monte Obante, che comprendeva la ben più alta ed importante Cima Carega, ha bensì assunto il nome di Gruppo del Carega ma… il lettore vi cercherebbe invano una cima con tale nome. Il suo legittimo posto viene regolarmente usurpato da Cima Posta mentre quest’ultima, beninteso quella vera, risulta letteralmente cancellata dall’anagrafe, restandone solo la quota altimetrica. Altrettanto è avvenuto, naturalmente, nel foglio Valdagno della Carta d’Italia, in scala 1:50.000 edito nel 1972 dallo stesso IGM, mentre, al contrario, risultano costantemente esatte le indicazioni fornite dalle pubblicazioni del TCI”.

Conferma delle conclusioni cui è giunto Pieropan, cioè dell’inversione nella collocazione dei due toponimi sulla cartografia militare, è scaturita nel corso delle ricerche bibliografiche svolte dalla Sezione CAI “Cesare Battisti” di Verona in occasione della pubblicazione del piccolo libro dal titolo: E di lassù si vede il mare, edito per ricordare i primi cinquantenni di storia del Rifugio Mario Fraccaroli a Cima Carega. In detta pubblicazione si cita la relazione del viaggio compiuto dall’alpinista austriaco Julius Pock attraverso i gruppi montuosi del Cornetto-Baffelàn e Campobrun-Posta, com’erano un tempo chiamati i massicci che compongono le Piccole Dolomiti. Pubblicata su Turist, la rivista dell’Österreichischer Alpenverein di Vienna, e successivamente ripresa, nel 1888, sulla Rivista Mensile del CAI, la relazione dell’alpinista austriaco afferma infatti: “è errato, seguendo la Carta Austriaca, affermare che la più importante elevazione della Valle dei Ronchi sia la Cima di Posta, in quanto il punto più elevato del massiccio non è quello, posto su un contrafforte  secondario, segnato nella carta stessa col nome di Cima di Posta e con la quota 2189; ma bensì l’altro, ad est di quello, indicato col nome di Cima Carega e con la quota di 2130 metri, cifra inferiore al vero di un centinaio di metri. Questo punto è d’importanza ben maggiore, essendo il nodo delle diramazioni situate, ad ovest della catena principale, fra le valli del Leno, dell’Adige e di Illasi; gli alpinisti per la sua posizione dominante, gli danno il nome del Gruppo, cioè di Cima Posta (anziché quello di Carega, che è uno dei tanti nomi locali); la citata Guida di Recoaro gli assegna la altitudine di m 2235, misura dedotta col barometro e di certo vicinissima al vero”.

La relazione di Pock cita evidentemente la Guida Alpina di Recoaro, edita dalla Sezione di Vicenza del CAI, la quale in vero sul punto controverso rimane nell’ambiguità o meglio, come dirà Pieropan, “si mantiene nel compromesso … (dandoci) in tal modo la Posta e la Carega assieme, ma con quest’ultima fra parentesi, quasi per scusarsi dell’ardire”.

Appaiono qui, forse per la prima volta, i complici involontari dei tipografi-mappatori: quegli alpinisti che per la posizione dominante del monte gli attribuiscono il nome del massiccio, cioè di Cima Posta anziché quello di Carega. L’argomentazione, curiosa e di per sé discutibile, viene più volte ripresa dalle guide che compaiono successivamente in un breve volger di anni. A partire dal primo volume della Guida del Trentino di Ottone Brentari (1890) che ribadisce la sua scelta a favore del toponimo di Cima Posta, invocando a giustificazione “l’uso ormai accettato dagli alpinisti”. Sulla stessa scia la pubblicazione della Sezione di Verona del CAI, edita in occasione del Congresso Nazionale che si svolse nel settembre 1909 nella città scaligera, che così sintetizza e risolve tutta la questione: “A sentir molti, parrebbe che la punta più elevata dovesse chiamarsi Carega, e che la vera Posta fosse un’altra, poco più bassa, a nordovest, la quale domina la malga trentina detta appunto della Posta, da cui avrebbe preso il nome… Ormai però tra gli alpinisti e gli scrittori di cose alpine è fermo l’uso di dare il nome di Posta alla vetta più alta: e tanto basti”.

La guida storico-alpina di Valdagno, Recoaro, Schio ed Arsiero, pubblicata nel 1898 dalla Sezione di Schio, non è da meno e significativamente concludeva: “I pastori del luogo chiamano Carega la cima più alta, che però nell’uso alpinistico è chiamata Cima di Posta”.

Già, forse perché, verrebbe da dire, nell’andare per i loro monti i pastori non hanno bisogno di leggere le carte dei topografi o le relazioni e guide degli alpinisti.

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