Project Description

Sentiero n. 73 - Sentiero dei Pellegrini

località quota distanza andata ritorno difficoltà
Brentino (bivio sent. n. 74) 187 0.50
bivio sent. del Vajo dell’Orsa (n. 75) 600 1600 1.25 0.00 T
bivio sent. di Castel Presina (n. 71) 620 45 0.00 0.15 T
Santuario Madonna della Corona 773 475 0.20 0.10 T
Spiazzi 864 250 0.15 T
totale   2370 2.00 1.15  

Classico itinerario d’accesso al Santuario della Madonna della Corona dalla Val Lagarina. Appollaiato com’è tra le rocce, il santuario è tra i più arditi d’Italia e il suo accesso costituisce una delle escursioni più belle e frequentate del veronese. All’interesse per un luogo di forte devozione si unisce quello d’una gita di grande fascino paesaggistico fra le imponenti gole rocciose della Val delle Pissotte, e forte è il contrasto fra il dolce fondovalle atesino, coperto di vigneti a pergola trentina, e l’aspro ambiente rupestre che ospita il santuario.

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Dall’ombra degli ippocastani del lavatoio in lastrame calcareo di Brentino si lascia l’abitato imboccando la caratteristica via gradinata alla fine della quale inizia il bel sentiero che si inoltra nel bosco di roverella, orniello e carpino. Appena la vegetazione comincia a formare una sorta di galleria, una breve diramazione, sulla sinistra, conduce al belvedere segnalato da una croce in pietra bianca. Il sentiero diviene più agevole e iniziano le stazioni della Via Crucis. Ogni anno infatti, il Venerdì Santo, una processione di fedeli raggiunge il Santuario recitando il Rosario e trasportando una statua dell’Addolorata.  La festa patronale si celebra il 19 settembre, ma anche nelle altre date mariane del calendario – 1° gennaio, 15 agosto, e 8 dicembre, il santuario è meta di numerosi pellegrini, molti dei quali scelgono la classica salita a piedi da Brentino per accedere al suggestivo ambiente rupestre del santuario. A circa metà percorso il sentiero si arrampica deciso alla base della parete del Monte Cimo e si dirige verso l’interno del selvaggio orrido della val delle Pissotte, divenendo via via più ardito e panoramico. Superato il bivio col sentiero del Vajo dell’Orsa che dirama a destra (segnavia n. 75) e, subito dopo, quello col sentiero di Castel Presina che dirama a sinistra (segnavia n. 71), il largo sentiero s’arrampica alla base della repulsiva parete del Monte Cimo e sale a zig zag il ripidissimo fianco boscoso della valle, ormai costantemente in vista del santuario della Madonna della Corona. Proprio dove la mulattiera s’aggrappa alla ripida parete rocciosa, la volontà di conquista della montagna e il sentimento religioso della gente si manifestano più forti: otto rampe di scale in pietra appollaiate sullo sbalzo della roccia, consentono di superare con duecentoquaranta gradini l’ultimo balzo. Alla fine, quando sembra che non vi siano passaggi praticabili, un’ardita scalinata scavata nella roccia guadagna un ripidissimo terrazzo pensile e con un ponte di pietra a due campate si traversa sulle rocce della verticale parete proprio sotto il santuario. Il seicentesco ponte in pietra è chiamato “Ponte del Tiglio” perché si narra che prima della sua costruzione il passaggio si dovesse affrontare cavalcando un albero di tiglio cresciuto di traverso causa un grosso masso. Questo passaggio esposto è l’originale percorso d’accesso al santuario, utilizzato fino al 1922 anche dai pellegrini provenienti dal soprastante paese di Spiazzi, prima cioè della realizzazione della galleria che oggi permette un facile accesso dal soprastante piazzale d’ingresso, dove arrivano da Spiazzi i bus navetta. Se non si accede al santuario dalla scala nei pressi del Ponte del Tiglio si può salire ancora per gradini fino all’attuale piazzale d’ingresso al santuario, al termine di oltre 1540 gradini dalla partenza a Brentino.

Celato tra le rocce del Monte Baldo, il Santuario di Santa Maria di Montebaldo, comunemente conosciuto col nome di Santuario della Madonna della Corona, sorge a 773 metri di quota, sospeso tra cielo e terra e a strapiombo sugli abissi sopra la Val d’Adige. L’ambiente è affascinante e la costruzione è sicuramente tra le più ardite opere architettoniche religiose d’Italia. Documenti medievali attestano che già intorno all’anno Mille il luogo era abitato da eremiti legati all’Abbazia di San Zeno in Verona e che almeno dalla seconda metà del 1200 esistevano un piccolo eremo con una cappella dedicata alla Madonna accessibili attraverso uno stretto e pericoloso sentiero nella roccia. Un dipinto della Madonna con bambino, di fattura trecentesca, ritrovato nei recessi dell’eremo, costituì la prima immagine venerata nell’originaria cappella.

I religiosi che abitavano l’eremo ricevettero nel 1432 da Lodovico di Castelbarco, di nobile famiglia roveretana, una statua della Pietà che finì per dare al santuario l’attuale nome di Madonna della Corona, per via della “corona” di pareti rocciose che cingono il gradino roccioso dove esso sorge. Alta 70 centimetri, larga 56 e profonda 25, la statua è in pietra locale dipinta e poggia su un piedistallo recante la scritta “HOC OPUS FEClT FIERI LODOVICUS D CASTROBARCO D 1432”. Nel 1434 la chiesetta passò in proprietà ai Cavalieri di San Giovanni, già presenti a Verona dal 1362, che conservarono la proprietà del santuario fino all’avvenuto scioglimento dell’Ordine, in epoca napoleonica (1806).

All’acquisizione dell’eremo da parte dei Cavalieri di San Giovanni sembra risalire la pia tradizione secondo la quale la venerata statua della Pietà, sparita da Rodi nel 1522 con l’avvento dei Turchi che si impadronirono dell’isola e cacciarono i Cavalieri di San Giovanni, sarebbe miracolosamente approdata nel luogo del santuario. Una luce intensa e un soave coro di musiche avrebbero attirato l’attenzione dei montanari che si sarebbero calati con funi lungo la rupe per osservare la fantastica apparizione.

Di sicuro il luogo divenne meta di molti pellegrini, al punto che tra il 1625 e il 1680, per fronteggiare il crescente afflusso, la chiesa fu ingrandita e dotata di locali per accogliere i fedeli, divenendo in tal modo un vero e proprio santuario. Per risolvere il difficoltoso accesso, fino ad allora avventuroso e pericoloso perché avveniva calandosi dall’alto con argano e funi, o dalla sottostante forra rocciosa cavalcando il tronco di tiglio piegato a mo’ di ponte sull’abisso, venne scavata la scalinata nella viva roccia e costruito il ponte di pietra, detto “Ponte del Tiglio”.

Numerosi furono nel tempo gli ampliamenti e rifacimenti. I principali dopo le guerre napoleoniche e nel 1899, quando venne rifatta la facciata della chiesa con le attuali forme neo-gotiche ed innalzato l’acuto campanile. Non sono mancati tragici incidenti, come la caduta di un grosso masso sulla casa dei frati che causò alcuni morti. Nel 1922 venne scavata la galleria che permette l’attuale agevole accesso stradale collegato a Spiazzi dal bus-navetta. Infine, tra il 1975 e il 1978, si mise mano al radicale ampliamento dell’intero complesso, con demolizione e rifacimento di buona parte del santuario.

Dopo la visita al santuario si riparte dal piazzale di ingresso e per la via gradinata di 300 gradini si supera l’ultimo balzo e si raggiunge l’abitato di Spiazzi.

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